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Resoconto di una scrittura privata

 

Dalle corde per il collo alla canapa distratta

sogno con parsimonia, a falangi

strettoie di gloria rada, notturne filastrocche per proli sedentarie.

Sogno fini fantastiche da cui emergere, con perfetto tempismo.

Le prove conformi ai dati di fatto riducono la storia

ad una sua forma compiuta, precedente alle aspettative

che imbarazzano l' inconsistenza di curiosità addomesticate.

Il capro espiatorio mi segnala il ritiro da parte del committente

della merce di scambio. Così ce ne stiamo.

Acosmici, a mani vuote, agli angoli delle strade;

quelli che piangono lo fanno in segno di saluto, in silenzio.

Gli altri parlano a denti stretti e le parole che passano

si dedicano al vento. Senza chiedere aiuto all' istinto

per traiettorie più sicure.

 

Come vorrebbe il cielo nella stanza essere di un azzurro terso

e invece non c' è filtro che tenga e il cane abbaia al temporale

che s' avvicina, scodinzolando nessuna tregua.

Come fosse vero apprendo dalla luce del sole che l' attimo

che comprende lo scorrere del tempo, ancora non si attua.

La concordata circostanza ratta se ne fugge nei ricordi di bordo

e la stragrande maggioranza dei passaggi di stato

li condivido per osmosi, dalle viscere.

Iato, laconico latrato e Iago di un polmone tradito

che respira per coerenza con il fiotto delle vene, cuore di ceramica.

Calpestio di passi sul selciato, dare fuoco a quella nuvola

prima di essere sorpresi con gli inneschi negli occhi

nello sfavillio del giorno.  A mezzo metro dall' ora d' aria.

Da un' amaca, sdraiata tra due alberi d' ulivo.

Il vento che porta portenti appena sgusciati dai nodi delle cortecce.

L' erba da una chioma sola t' accarezza la nuca.

Sussurra una parola il verde eterno che gemmato scuoia il sentiero

che hai percorso per arrivare fin lì.

- Dormi, dormi, chiudi gli occhi, lascia che i pensieri si sciolgano

in barbari e vandali, almanacchi del niente e popoli collusi

col vuoto, ricorderai soltanto il colore del cielo al tramonto

la vertigine prima del salto, qualche altro posto, le carezze di tua madre-

Il resto è terapia. Visitato a questa tavola sbuccio una mela

con il mio coltello di damasco. Una spina dorsale da sette millimetri.

Il filo piano del tagliente mi ricorda certe domande rompighiaccio

che, impugnate dalla parte del manico, fanno a fette nuclei inossidabili: 

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